Ricorso  della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri   (c.f.
80188230587), in persona del Presidente del Consiglio attualmente  in
carica, rappresentato e difeso per mandato  ex  lege  dall'Avvocatura
generale dello Stato (c.f.  80224030587),  presso  i  cui  uffici  ha
domicilio  in  Roma,  via  dei  Portoghesi  12  (fax  0696514000  PEC
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it), ricorrente; 
    contro Regione Veneto, in persona  del  presidente  della  giunta
regionale pro tempore, resistente; 
    per la dichiarazione di incostituzionalita' degli articoli 1,  9,
19 e 20 della legge regionale  22  settembre  2021,  n.  27,  recante
«Disposizioni di adeguamento ordinamentale 2021 in materia di governo
del territorio, viabilita', lavori  pubblici,  appalti,  trasporti  e
ambiente», pubblicata sul B.U.R. n. 128 del 24  settembre  2021,  per
contrasto con gli articoli 3, 9, 81 e 117, comma 2, lettere  e),  l),
m) e s), e comma 6 della Costituzione 
    Il consiglio regionale della Regione Veneto ha  approvato  il  21
settembre 2021 la legge n. 27, composta da 22 articoli, con cui detta
disposizioni in vari settori della politica economica  veneta,  quali
il governo del territorio, la viabilita', i  lavori  pubblici  e  gli
appalti, i trasporti e l'ambiente. 
    Sennonche', ad avviso del Consiglio dei ministri, che in data  19
novembre 2021  ha  deliberato  per  la  sua  impugnazione,  la  legge
presenta  svariati  profili  di   incompatibilita'   con   le   norme
costituzionali.  Pertanto,  con  il  presente  atto  se   ne   deduce
l'illegittimita' costituzionale sulla base dei seguenti 
 
                               Motivi 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge regionale 21
settembre 2021, n. 27 per violazione dell'art. 117, comma 2,  lettera
l) della Costituzione. 
    La norma qui censurata modifica altra precedente norma (l'art.  4
della legge regionale 5 novembre 2004, n. 21) intervenendo in materia
di condono edilizio con la sostituzione del comma 1-bis. 
    La norma modificata, intitolata «Determinazione dell'oblazione  e
degli oneri concessori», ha oggi il seguente tenore: 
        «1. La misura dell'oblazione prevista dalla legge sul condono
e' incrementata del 5 per cento e, nelle ipotesi  previste  dall'art.
3, comma 3, del 10 per cento. L'incremento dell'oblazione e'  versato
alla Regione che la destina per politiche di repressione degli  abusi
edilizi e per la promozione di  interventi  di  riqualificazione  dei
nuclei interessati e compromessi da fenomeni di abusivismo  edilizio,
ovvero per i rilievi aerofotogrammetrici previsti dall'art. 23  della
legge n. 47 del 1985. 
        1-bis. La  Regione  puo',  altresi',  destinare  l'incremento
dell'oblazione di cui al comma 1: 
          a) ad interventi di valorizzazione e restauro paesaggistico
su siti di interesse regionale  che  sono  individuati  dalla  Giunta
regionale, sentita la competente commissione consiliare; 
          b)  agli  interventi,  promossi  dai   comuni   singoli   o
associati, di riqualificazione urbana di cui all'art. 6  della  legge
regionale 6 giugno 2017, n. 14 "Disposizioni per il contenimento  del
consumo di suolo e modifiche della legge 23 aprile 2004, n. 11 "Norme
per il Governo del territorio e in materia di paesaggio", nonche' per
le spese di progettazione degli interventi previsti nei programmi  di
rigenerazione urbana sostenibile, approvati  ai  sensi  dell'art.  7,
comma 4, della medesima legge regionale n. 14  del  2017.  La  Giunta
regionale, sentita la competente  commissione  consiliare,  determina
criteri e modalita' di assegnazione del contributo ...». 
    Tale previsione normativa non e' in linea con quanto disposto dal
decreto-legge  30  settembre  2003,  n.  269,  recante  «Disposizioni
urgenti per favorire lo sviluppo e per la  correzione  dell'andamento
dei conti pubblici.», ed in particolare con l'art. 32. 
    Questa norma statale, che detta misure  per  la  riqualificazione
urbanistica,  ambientale  e   paesaggistica,   per   l'incentivazione
dell'attivita' di repressione dell'abusivismo edilizio,  nonche'  per
la definizione degli illeciti edilizi e  delle  occupazioni  di  aree
demaniali, al comma 33  prevede  che:  «Le  regioni,  entro  sessanta
giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto,  emanano
norme per la definizione del procedimento amministrativo relativo  al
rilascio del titolo  abilitativo  edilizio  in  sanatoria  e  possono
prevederne, tra l'altro, un incremento dell'oblazione fino al massimo
del 10 per cento della misura determinata nella tabella C allegata al
presente  decreto,  ai  fini   dell'attivazione   di   politiche   di
repressione degli abusi edilizi e per la promozione di interventi  di
riqualificazione dei nuclei interessati  da  fenomeni  di  abusivismo
edilizio, nonche' per l'attuazione di quanto  previsto  dall'art.  23
della legge 28 febbraio 1985, n. 47.». 
    La ratio di tale previsione e' quella di garantire  alle  regioni
l'acquisizione di maggiori introiti, utili ad affrontare gli  impegni
finanziari     delle     amministrazioni     comunali     conseguenti
all'applicazione del condono edilizio (come riconosciuto dalla  Corte
costituzionale con la sentenza n. 196/2004). 
    Il legislatore veneto, nel prevedere, con il  nuovo  comma  1-bis
dell'art. 4 che la regione possa,  altresi',  destinare  l'incremento
dell'oblazione di cui al comma 1 ad interventi  di  valorizzazione  e
restauro paesaggistico, ovvero a programmi di  rigenerazione  urbana,
si e' discostato dal riferito vincolo  di  destinazione,  preordinato
all'adozione di misure riparative e/o preventive rispetto al fenomeno
dell'abusivismo edilizio. 
    Considerato che l'oblazione e' intimamente connessa ai richiamati
profili estintivi e che il legislatore statale, nel  consentire  alle
regioni di incrementarne gli importi, ne ha, al  contempo,  vincolato
la  destinazione,  la  norma  regionale  in   parola   risulta   aver
oltrepassato lo spazio di competenza riservato alle regioni. 
    La Corte costituzionale con la sentenza n. 196/2004 in materia di
condono edilizio ha affermato  che:  «Il  condono  edilizio  di  tipo
straordinario, quale finora configurato  nella  nostra  legislazione,
appare essenzialmente caratterizzato dalla volonta'  dello  Stato  di
intervenire in via straordinaria  sul  piano  della  esenzione  dalla
sanzionabilita' penale nei riguardi dei soggetti che, avendo posto in
essere determinate tipologie di abusi edilizi, ne chiedano il condono
tramite i comuni direttamente interessati,  assumendosi  l'onere  del
versamento  della   relativa   oblazione   e   dei   costi   connessi
all'eventuale rilascio del titolo abilitativo edilizio in  sanatoria,
appositamente previsto da questa legislazione. 
    Non vi e' dubbio sul fatto che solo il legislatore  statale  puo'
incidere   sulla   sanzionabilita'   penale   (per    tutte,    Corte
costituzionale sentenza n. 487  del  1989)  e  che  esso,  specie  in
occasione  di   sanatorie   amministrative,   dispone   di   assoluta
discrezionalita' in materia «di estinzione del reato o della pena,  o
di non procedibilita'» (Corte cost. sentenze n. 327 del 2000, n.  149
del 1999 e n. 167 del 1989). Peraltro, la circostanza che  il  comune
sia titolare di fondamentali poteri di gestione e  di  controllo  del
territorio rende necessaria  la  sua  piena  collaborazione  con  gli
organi giurisdizionali, poiche', come questa Corte ha affermato,  «il
Giudice  penale  non  ha  competenza  "istituzionale"  per   compiere
l'accertamento di conformita' delle opere agli strumenti urbanistici»
(sentenza  n.  370  del  1988).  Tale  doverosa  collaborazione   per
concretizzare la scelta del legislatore statale di porre in essere un
condono penale si impone quindi su  tutto  il  territorio  nazionale,
inerendo alla strumentazione indispensabile per dare  effettivita'  a
tale scelta. 
    Al tempo stesso rileva  la  parallela  sanatoria  amministrativa,
anche attraverso la previsione da parte del  legislatore  statale  di
uno straordinario titolo abilitativo edilizio, a causa  dell'evidente
interesse di coloro che abbiano edificato illegalmente ad un  condono
su entrambi i versanti, quello penale e quello amministrativo; ma sul
piano della sanatoria amministrativa  i  vincoli  che  legittimamente
possono imporsi all'autonomia legislativa delle Regioni, ordinarie  e
speciali, non  possono  che  essere  quelli  ammissibili  sulla  base
rispettivamente delle  disposizioni  contenute  nel  nuovo  art.  117
della Costituzione e degli statuti speciali». 
    Prosegue  la  Corte:  «Questa  legislazione  conferma,   in   una
particolare realta' territoriale, quella che  e'  una  piu'  generale
caratteristica  della   legislazione   sul   condono,   nella   quale
normalmente quest'ultimo ha effetti sia  sul  piano  penale  che  sul
piano  delle  sanzioni  amministrative,  ma  che   non   esclude   la
possibilita'  che   le   procedure   finalizzate   al   conseguimento
dell'esenzione dalla punibilita' penale si applichino ad  un  maggior
numero di opere edilizie abusive  rispetto  a  quelle  per  le  quali
operano gli effetti estintivi degli illeciti amministrativi; cio'  e'
reso d'altra parte evidente nelle disposizioni dello stesso  Capo  IV
della  legge  n.  47  del  1985,   e   successive   modificazioni   e
integrazioni, che nell'art. 38 disciplina separatamente,  al  secondo
ed al quarto comma, i presupposti del condono penale  (il  versamento
dell'intera oblazione) ed amministrativo (il conseguimento del titolo
abilitativo in sanatoria) e nell'art. 39  prevede  che,  ove  si  sia
effettuata l'oblazione, si produca comunque  l'estinzione  dei  reati
anche ove "le opere non possano conseguire la sanatoria". 
    D'altra parte, anche l'art. 32 impugnato prevede, al comma 36,  i
presupposti per il verificarsi dell'effetto estintivo penale,  mentre
i diversi presupposti per il conseguimento del titolo abilitativo  in
sanatoria sono regolati dal comma 37, cosi'  confermando  che  i  due
effetti possono essere indipendenti l'uno dall'altro, dal momento che
l'effetto  penale   si   produce   a   prescindere   dall'intervenuta
concessione della sanatoria amministrativa e anche  se  la  sanatoria
amministrativa non possa essere concessa.». 
    La sentenza di cui si sono riportati alcuni  passi  motivazionali
e' ricordata come fondamentale nella ricostruzione dei  rapporti  fra
Stato e regioni in tema di condono edilizio. Essa ha riconosciuto che
il monopolio statale - ex articoli 25 e  117,  comma  2,  lettera  l)
della Costituzione - interessa sia la fase genetica delle fattispecie
incriminatrici,  che  la  fase  della  rinuncia  all'esercizio  della
pretesa punitiva. E tale riserva di competenza assume  dei  connotati
ancora piu' pregnanti nell'ipotesi di condono straordinario edilizio,
attesa la piena discrezionalita' statale in materia di estinzione del
reato. Coerentemente, quindi, il legislatore statale, nel ritenere di
poter accordare alle  regioni  la  predetta  facolta'  di  incremento
dell'oblazione, ha potuto subordinarla allo svolgimento di specifiche
attivita' aventi finalita' repressive e/o riparative [1)  attivazione
di politiche di repressione degli abusi  edilizi;  2)  promozione  di
interventi di riqualificazione dei nuclei interessati da fenomeni  di
abusivismo edilizio; 3) attuazione di' quanto previsto  dall'art.  23
della legge 28 febbraio 1985, n. 47 in materia di controlli periodici
mediante  rilevamenti  aerofotogrammetrici];  finalita'  che  non  si
rinvengono nelle attivita' oggi contemplate dal neo-introdotto  comma
1-bis. 
    La  disposizione  regionale  in  esame,  quindi,   eccede   dalle
competenze riconosciute alle regioni in materia di  condono  edilizio
risultando invasiva della competenza esclusiva statale in materia  di
ordinamento penale di cui all'art.  117,  secondo  comma  lettera  l)
della Costituzione. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9 della legge regionale 21
settembre 2021 n. 27 per violazione dell'art.  81  e  dell'art.  117,
comma 2, lettera e) della Costituzione. 
    La norma qui censurata, intitolata «Misure di semplificazione nei
procedimenti di pagamento», prevede testualmente  che  nei  contratti
pubblici di servizi, forniture e  noleggio  attrezzature  di  importo
inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, nei  procedimenti  di
pagamento non debba essere operata la ritenuta dello 0,50 per cento a
garanzia dei versamenti agli enti previdenziali ed assicurativi. 
    Tale disposizione si pone  in  contrasto  con  l'art.  30,  comma
5-bis,  del  codice  dei  contratti  pubblici  di  cui   al   decreto
legislativo 18  aprile  2016,  n.  50,  norma  inserita  dal  decreto
legislativo n. 56/2017, secondo cui in ogni caso  sull'importo  delle
prestazioni e' operata la ritenuta dello  0,50  per  cento  che  puo'
essere  svincolata  solo  in  sede  di  liquidazione   finale,   dopo
l'approvazione da parte della stazione appaltante del certificato  di
collaudo o di verifica di conformita', previo rilascio del  documento
unico di regolarita' contributiva. 
    La disposizione in  parola  e'  regola  di  gara,  tanto  che  e'
contenuta nell'articolo del Codice dei contratti dedicata ai principi
generali in materia di aggiudicazione, e detta  una  prescrizione  da
inserire in tutti i bandi relativi agli appalti e alle concessioni. 
    Ora,   secondo   il   consolidato   orientamento   della    Corte
costituzionale, le disposizioni «[...] regolanti le procedure di gara
sono riconducibili alla materia della  tutela  della  concorrenza,  e
[...] le regioni, anche ad autonomia speciale,  non  possono  dettare
una disciplina da esse difforme (Corte cost. sentenza n. 39 del 2020,
ma gia' prima sentenze n. 263 del 2016, n. 36 del 2013,  n.  328  del
2011, n. 411 e n. 322 del 2008). 
    E cio' indipendentemente dalla soglia di rilievo comunitario  cui
devono  attenersi  le  stazioni  appaltanti,  dal  momento   che   la
competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato  opera  in  tutte  le
procedure  di  affidamento,  quale  ne  sia  l'importo  (Corte  cost.
sentenze n. 263 del 2016, n. 184 del 2011, n. 283 e n. 160 del  2009,
n. 401 del 2007), e quale ne sia il tipo (Corte cost. sentenza n. 322
del 2008). 
    Orbene, le disposizioni di cui all'art. 30,  rubricato  «Principi
per  l'aggiudicazione  e  l'esecuzione  di  appalti  e  concessioni»,
rappresentano principi  fondamentali  posti  a  tutela  della  libera
concorrenza, di non discriminazione e par condicio,  e  valevoli  per
qualsivoglia procedura di scelta del contraente, per  gli  appalti  e
per le concessioni di beni e  servizi,  sopra  e  sotto  soglia  (TAR
Veneto, I, 21 marzo 2018, n. 320; Tribunale amministrativo  regionale
Puglia, Lecce, I, 5 luglio 2018, n.  1104;  Tribunale  amministrativo
regionale Molise, 28 gennaio 2019, n. 38; si veda anche Cons.  Stato,
III, 3 dicembre 2015, n. 5494). 
    Alla luce di quanto esposto, si ritiene che la  disciplina  della
legge regionale  in  esame,  ponendosi  in  contrasto  con  la  norma
interposta, rappresentata dall'art.  30  del  Codice  dei  contratti,
violi il parametro costituzionale di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera e), della Costituzione. 
    A si aggiunga che, come detto, il citato art.  30,  comma  5-bis,
del codice dei contratti pubblici dispone che  «le  ritenute  possono
essere svincolate soltanto  in  sede  di  liquidazione  finale,  dopo
l'approvazione da parte della stazione appaltante del certificato  di
collaudo o di verifica di conformita', previo rilascio del  documento
unico di regolarita' contributiva». 
    Ne discende che, in caso di irregolarita' del DURC,  la  stazione
appaltante non puo' svincolare le ritenute in questione. 
    La   previsione   regionale,   quindi,   volta    ad    escludere
l'applicabilita'  della  ritenuta  dello  0,50  per   cento,   appare
suscettibile di determinare nuovi o maggiori  oneri  per  la  finanza
pubblica, in termini di minori entrate contributive, non quantificate
e prive di copertura finanziaria, laddove la stazione appaltante  non
potra' trattenere le ritenute che avrebbe potuto mantenere in caso di
irregolarita' contributiva del soggetto aggiudicatario,  determinando
cosi' la violazione dell'art. 81 della Costituzione. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19 della  legge  regionale
21 settembre 23021, n. 27 per violazione degli articoli 3 e  9  della
Costituzione 
    La norma qui censurata sostituisce il comma 2 dell'art.  2  della
precedente legge regionale n. 41 del 1998. 
    L'art.  2  in  questione,  al  comma  1  stabilisce   che,   dopo
l'approvazione   degli   appositi   piani   di   estrazione,   «(...)
l'estrazione e l'asporto di sabbie e ghiaie e' autorizzata, sotto  il
profilo della compatibilita' con il buon  regime  delle  acque  e  in
armonia coi piani stessi, dal direttore  dell'ufficio  regionale  del
Genio civile competente per territorio fino a 30.000  metri  cubi  e,
oltre  tale  quantita',  dal  direttore  della  struttura   regionale
competente in materia di difesa del suolo». 
    Il previgente  comma  2  disponeva  che:  «In  assenza  di  piani
estrattivi il limite e' abbassato a 20.000 metri cubi». 
    A seguito della novella, il comma 2 ora recita:  «In  assenza  di
piani estrattivi il limite e'  abbassato  a  20.000  metri  cubi  per
singolo intervento. Possono essere presentati dal  medesimo  soggetto
progetti di estrazione e asporto di sabbia e ghiaia, finalizzati alla
sicurezza e alla buona  regimazione  delle  acque,  per  quantitativi
complessivi fino  ad  un  massimo  pari  ad  80.000  metri  cubi,  da
realizzare attraverso singoli interventi di entita' non  superiore  a
20.000 metri cubi». 
    In sostanza, la nuova norma consente  l'estrazione  di  rilevanti
quantita' di materiali litoidi - in  precedenza  non  permessa  -  in
assenza degli appositi piani e, tra l'altro, in una regione, quale il
Veneto, allo stato ancora priva di pianificazione paesaggistica. 
    Viene  a  essere  cosi'  stravolta  la   previsione   originaria,
vanificando la finalita' stessa della legge regionale n. 41 del 1998,
che e'  volta  a  permettere  l'estrazione  soltanto  sulla  base  di
appositi piani, e,  in  assenza  dei  piani  stessi,  unicamente  per
limitati quantitativi. 
    La nuova disposizione consente, invece, di estrarre,  in  assenza
di piano, quantitativi  complessivi  di  materiale  litoide  fino  al
80.000 metri cubi, e  cio'  senza  neppure  il  coinvolgimento  della
struttura regionale competente in materia di difesa del suolo. 
    Deve tenersi presente altresi' che i territori costieri, le  zone
contermini ai laghi  e  i  corsi  d'acqua  sono  soggetti  a  vincolo
paesaggistico ex lege, ai sensi dell'art. 142, comma 1,  lettere  a),
b) e c), del Codice dei beni culturali e  del  paesaggio  di  cui  al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 
    Ne deriva che, con le previsioni in  esame,  la  regione  innova,
mediante una  disciplina  irragionevole,  al  regime  precedentemente
dettato  dalla  stessa  regione  a  tutela  dei  beni   paesaggistici
vincolati ex lege, determinando un abbassamento della tutela. 
    Sembra  significativo  per  la  sua  pertinenza   il   precedente
giurisprudenziale di  cui  alla  sentenza  n.  141/2021  della  Corte
costituzionale,    trattandosi    dell'analoga    questione     della
modificazione in peius della disciplina regionale posta a presidio di
alcune tipologie di boschi, vincolati ai sensi dell'art.  142,  comma
1, lettera g), del Codice. In quella occasione la Corte ha  affermato
che  «La  norma  impugnata  non  si  e'  limitata  a  modificare  una
precedente legge regionale che aveva introdotto un vincolo in assenza
di  precisi  e  corrispondenti  limiti  derivanti  dalla   disciplina
statale, ma, abbassando la quota altimetrica al di sotto della  quale
operano   le   norme   di   tutela   delle   faggete   depresse,   ha
surrettiziamente aggirato il vincolo  posto  dalla  norma  interposta
costituita  dall'art.  142,  comma  1,  lettera   g),   del   decreto
legislativo n. 42 del 2004». 
    Da cio' la violazione degli articoli 3 e  9  della  Costituzione,
rispetto ai quali costituiscono parametro  interposto  le  previsioni
del Codice ora richiamate. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 20 della  legge  regionale
21 settembre 2021, n.  27  per  violazione  dell'art.  117,  comma  1
lettere m) e s), e comma 6 della Costituzione. 
    La norma qui  censurata,  intitolata  «Titolo  giuridico  per  la
esecuzione di interventi finalizzati  alla  sicurezza  idraulica  dei
corsi di acqua di competenza regionale» prevede al primo comma che: 
        «Le  strutture  della  Giunta   regionale,   territorialmente
competenti  alla  effettuazione  degli  interventi  funzionali   alla
prevenzione e riduzione del rischio idraulico sui  corsi  d'acqua  di
competenza  regionale,  hanno  titolo  ad  eseguire,  direttamente  o
mediante i soggetti affidatari, ai sensi e per  gli  effetti  di  cui
agli articoli 93, 96 e 97 del regio decreto 25 luglio  1904,  n.  523
"Testo  unico  delle  disposizioni  di  legge  intorno   alle   opere
idrauliche delle diverse categorie", gli interventi di ripristino  di
condizioni di sicurezza e officiosita'  idraulica  che  prevedono  la
rimozione di schianti, piante morte, piante a rischio caduta o la cui
presenza riduca la  sezione  dell'alveo  necessaria  a  garantire  il
libero deflusso delle acque». 
    Al comma 2 la stessa prevede che: 
        «Gli  interventi  di  cui  al  comma  1  sono  realizzati  in
conformita' alla vigente normativa statale e regionale in materia  di
valutazione di incidenza ambientale su parere reso ai sensi dell'art.
16 della  legge  regionale  7  novembre  2003,  n.  27  "Disposizioni
generali in materia di lavori pubblici di interesse regionale  e  per
le costruzioni  in  zone  classificate  sismiche"  nonche'  ai  sensi
dell'art. 68 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30 "Collegato
alla legge di stabilita' regionale  2017",  previa  acquisizione  del
parere della struttura regionale competente in materia forestale  sul
territorio, ove l'area di intervento sia configurabile  come  boscata
ai sensi del Reg. reg. 7 febbraio 2020, n 2 "Prescrizioni di  massima
e di polizia forestale adottate ai  sensi  dell'art.  5  della  legge
regionale 13 settembre 1978, n. 52 "Legge forestale regionale"" ed in
conformita' alle  specifiche  tecniche  ed  ambientali  definite  dal
Prontuario Operativo per interventi di gestione  forestale  approvato
dalla Giunta regionale con deliberazione n.  7  del  5  gennaio  2018
"Adozione del Prontuario operativo per  gli  interventi  di  gestione
forestale - delib. G.R. n. 1456/2014 e  delib.  G.R.  n.  1400/2017",
pubblicata sul BUR n. 9 del 23 gennaio 2018.». 
    Il senso di questa seconda  previsione,  anche  alla  luce  della
rubrica dell'art. 20, non puo' che  essere  quello  di  circoscrivere
espressamente i titoli necessari per  effettuare  gli  interventi  di
ripristino di condizioni di sicurezza e  officiosita'  idraulica  che
prevedono la rimozione di schianti, piante morte,  piante  a  rischio
caduta o la cui presenza riduca la sezione  dell'alveo  necessaria  a
garantire il libero deflusso delle acque. 
    Deve, tuttavia, rilevarsi che gli interventi in questione vengono
eseguiti sulle zone contermini ai laghi  o  sulle  sponde  dei  corsi
d'acqua, ossia in ambiti soggetti a vincolo  paesaggistico  ai  sensi
dell'art. 142, comma  1,  lettere  b)  e  c),  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio. Inoltre, la medesima previsione  regionale
fa riferimento all'ipotesi in cui le  piante  da  rimuovere  facciano
parte di un'area boscata, come tale soggetta a vincolo  paesaggistico
ai sensi della lettera g) del medesimo  comma  1  dell'art.  142  del
predetto Codice. 
    Tutti tali interventi sono, pertanto,  soggetti  -  in  linea  di
principio - al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, a meno che
non siano  riconducibili,  in  concreto,  alle  fattispecie  previste
dall'art. 149 del predetto Codice, come specificate  nell'allegato  A
al decreto del Presidente della Repubblica n. 31  del  2017,  nonche'
dall'art. 36 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con
modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108. 
    Conseguentemente,  nel  prevedere  in   modo   generalizzato   la
sottrazione di tutti gli «interventi di ripristino di  condizioni  di
sicurezza e officiosita' idraulica  che  prevedono  la  rimozione  di
schianti, piante morte, piante a rischio caduta  o  la  cui  presenza
riduca  la  sezione  dell'alveo  necessaria  a  garantire  il  libero
deflusso delle acque», a prescindere dalla possibilita' di ricondurre
tali  interventi  nel  novero   di   quelli   non   assoggettati   ad
autorizzazione paesaggistica  ai  sensi  della  normativa  nazionale,
l'art.  20,  comma  2,  della  legge  regionale  viola:  la  potesta'
esclusiva dello Stato in materia di tutela del  paesaggio,  stabilita
dall'art. 117,  secondo  comma  lettera  s),  della  Costituzione;  i
livelli essenziali delle prestazioni che devono essere  stabiliti  in
modo uniforme sull'intero territorio nazionale,  ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma,  lettera  m),  della  Costituzione;  la  potesta'
regolamentare dello Stato nelle materie di legislazione esclusiva, di
cui all'art. 117, sesto comma, della Costituzione.  Rispetto  a  tali
previsioni costituiscono norme interposte gli articoli 146 e 149  del
Codice dei beni culturali e del paesaggio,  nonche'  il  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 31 del 2017,  nonche'  l'art.  36  del
decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 29 luglio 2021, n. 108.